Nulla. Assolutamente nulla. È ciò che mi ricordo di lei, pure se strizzo le meningi e tiro come da un argano la memoria. Eppure, a rileggerle ora, non banali sono state alcune sue riflessioni, certi suoi spunti, anche come indicazione "pastorale" sull'importanza del sentirsi "in missione", una tensione che ora più che mai manca.
Una donna tutta casa e chiesa, potremmo scrivere, se a casa non restasse così poco. A settantaquattro anni la professoressa Marazzi (per l'anagrafe Angela Maria, per tutti gli altri, semplicemente Cia) ha una vitalità inesauribile. Un fiume d'energia disperso in mille rivoli. Che confluiscono tutti nello stesso fiume: la parrocchia. O nella diocesi, che altro poi non è che una parrocchia grande.
Alla medesima stregua Cia Marazzi tratta il Vescovo: come fosse un parroco. Il parroco che monsignor Maggiolini non è mai stato. «Insomma, un conto è operare nella Chiesa locale, un altro è insegnare all'Università Cattolica, magari occupandosi del Marianum».
A questo punto una precisazione, più che opportuna, è indispensabile. Ascoltando per una manciata di minuti Cia Marazzi siam riusciti a raccogliere, riguardo al Vescovo di Como, più curiosità che in tanti anni di lettura di cronache curiali e mondane. Tanto che ci sarebbe bastato ricopiare gli appunti per occupare non soltanto lo spazio di questo articolo, ma la pagina intera. E senza timore di annoiare, perché il modo in cui Cia racconta le cose ha di per sé brio a sufficienza da tener svegli ventiquattr'ore. Tuttavia non lo facciamo. Per due semplici motivi. Innanzi tutto, troppo importante è il Vescovo e troppo maliziosi sono gli occhi che gli son puntati addosso per non rischiare di tramutare anche il più simpatico degli aneddoti in un'ombra.
Secondo, messe nero su bianco le sue parole potrebbero sembrare pettegolezzi carpiti origliando in sacrestia, mentre non sono altro che le genuine confidenze raccolte in molti mesi di frequentazione ecclesiale. Fatti e opinioni riportate con la complicità con cui i fedeli più devoti parlottano sulle soglie degli oratori o sul piazzale della chiesa. Considerazioni a volte taglienti, è vero, ma che rivelano sempre un fondo di bontà. Un calore umano capace di smorzare ogni critica con un silenziatore. Lo stesso silenziatore che abbiam voluto mettere noi a quanto ha detto. Non per evitare imbarazzi a Maggiolini, che essendo abituato ad entrare nel vivo di polemiche aspre e delicate, si sarebbe fatto certamente due risate, bensì per impedire ai maligni di veder una pagliuzza di scandalo dove invece ci sono soltanto travi di affetto.
Un affetto che non fa desistere Cia Marazzi dal criticare il suo Pastore («Non gliene faccio passare una»), ma che la induce anche a difenderlo quando tutti gli puntano il dito contro («Lui a volte è un Pizzighetti che non sta zitto, ma anche coloro che a volte attacca non sono i santi che vorrebbero apparire»).
La Chiesa di Como. Il suo mondo. L'Azione Cattolica, la catechesi, la pastorale. La sua vita. In un'ora e mezza non siam quasi riusciti a parlare d'altro. Non passa giorno che a piedi non percorra avanti e indietro due, tre, quattro volte le centinaia di metri di via Torno, dove abita, per recarsi a Sant'Agostino, in Duomo, al Centro Pastorale.
Una vocazione forte, a cui ha risposto senza alzare la voce, mettendo in moto i piedi.
«Scarpe numero trentasette» risponde a chi le chiede come riesca a far tante cose senza avere né auto né patente.
«Il futuro della Chiesa si gioca nella riscoperta del senso di missione. Oggi più che mai bisogna andare». Lei va. Nella Cooperativa di Cavallasca, nei condomini di Rovellasca, nelle sale di Como città.
Ha scritto lo storico inglese Thomas Macaulay: "La Chiesa Romana conosce alla perfezione quello che nessun'altra Chiesa ha mai saputo: cosa fare degli entusiasti". Non si era sbagliato.
Per la diocesi Cia Marazzi lavora, scrive, insegna. Un mestiere, quest'ultimo, a cui è abituata. L'ha fatto per cinquant'anni. Quarantuno al servizio dello Stato, gli ultimi nove dalle suore, a Maccio di Villaguardia.
«Fin da bambina volevo fare la maestra. Non sapevo ancora parlare, ma comandavo già» precisa sorridendo.
«Mi sono laureata in lingue straniere all'Università Cattolica, insegnando in asili e scuole elementari, commerciali, industriali, medie. Ero severa, ma non ho mai mancato di rispetto per la persona umana. A Erba, Albese, Albavilla, terra di gente generosa, ma anche dura, brianzoli con sangue spagnolo nelle vene. Anche da preside, credo di aver lasciato un buon ricordo. Quando è stato il momento di andare in pensione le suore del Buon Pastore mi chiesero di dar loro una mano. Me ne sono andata dopo aver fatto in modo che l'istituto passasse sotto l'egida dei padri del Gallio. Almeno lì non è arrivata Comunione e Liberazione».
Eccoci di nuovo. A fatica ci eravamo scostati da tonache, altari e fumo di candele e in men che in un baleno, senza neppure avere il tempo di accorgercene, siamo tornati indietro. Troppo forte la tentazione, troppo interessante il problema, identico il modo di affrontarlo: non lasciando perdere nulla, ma perdonando tutto.
«Prima le Orsoline di Como, poi quelle di Roma e il Buon Pastore di Milano. A poco a poco Comunione e Liberazione sta mettendo le mani su tutte le scuole cattoliche. Bastava essere a San Pietro, qualche giorno fa, per rendersene conto. Però bisogna ammettere che ci sanno fare. E quando siamo andati dal Papa hanno avuto almeno il buon gusto di non mettere striscioni di parte».
Cia Marazzi per scelta non si è mai sposata. «Non crediate però che sia nata a settantaquattro anni. Ho avuto anch'io le mie passioni» precisa vispa.
Attualmente gode di buone letture e di ottima salute. «L'ultima volta che ho visto il medico è stato dieci anni fa. Ero andata per misurare la pressione. Ma non la mia, quella di mia mamma, che è morta parecchio tempo dopo, mentre si stava pettinando, senza aver fatto un giorno di malattia. Aveva novantadue anni». Dio l'abbia in gloria. E si ricordi della figlia. Non dimenticandosi pure il dottore, che nel frattempo è andato in pensione.
28 novembre 1999
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