Una decisione su cui non ho proferito verbo, essendo ormai lui un adulto, come ho scritto nel giorno esatto in cui me ne sono accorto, poche settimane fa per altro.
Se lo scrivo qua non è per pettegolezzo, né per mettere in piazza affari che riguardano soltanto lui e al massimo noi, soltanto. Piuttosto perché esiste sempre un certo punto in cui i figli fanno le valigie e vogliono andare via, un'esperienza che per fortuna si ripete, anche se ciò, come ogni distacco, comporta pure una parte di sofferenza, di dolore. "Patire la ferita della loro libertà" scrive Franco Nembrini, nel suo libro "Di padre in figlio", in cui mette in guardia da due possibili errori: "Chiudere la casa per non lasciarli uscire oppure uscire con loro". Invece no. "L'adulto è quello che sta, che resta per la felicità che gode lui, per il bene che intravede lui, per la speranza che vive lui".
Soltanto così, lo scrive innanzi tutto per convincere appieno me stesso, chi se ne va potrà essere a sua volta felice, riuscendo a costruire fuori ciò che per lui esisterà sempre, dentro.
P.S. Aggiungo quello che in apparenza è un dettaglio, ma che quando lo ha comunicato ha suscitato uno stupore che ha lambito la perplessità e lo sgomento: "A Barcellona andrò in bicicletta".
Ora, non dico la madre, che si sa che le mamme sono apprensive e stanno in pena per un nonnulla e vorrebbero sempre controllare se uscendo ti sei coperto abbastanza o non hai scordato l'ombrello, ma pure io un sopracciglio l'ho alzato. Non per lui, che ha gambe e cuore d'atleta e in bicicletta potrebbe fare il giro del mondo, bensì per le insidie della strada, gli automobilisti distratti, i mezzi pesanti, le intemperie del meteo, l'organizzazione complessiva del viaggio... Poi, passato lo scossone iniziale e messo da parte l'istinto primario di protezione, è subentrata sua maestà la ragione e tutti i motivi per cui accettare la dose di rischio (gli stessi, ad esempio, di quando abbiamo detto di sì a Giovanni che voleva il motorino).
Perciò non mi resta che ricordare il post scriptum d'un anno esatto fa, che calza anche oggi a pennello: "La sensazione di precarietà è sovente abbinata al desiderio di tenere tutto sotto controllo, alla mania di gestire ogni cosa, alla paura di “lasciare che sia”, mollando la presa, affidandosi alla corrente, al mare aperto. Altrettanto spesso, specie in questo tempo, mi conforta e fa da bilanciere la lezione delle tragedie greche, di Elettra, di Edipo, sull’ineluttabilità del destino, la circostanza che nulla dipende veramente da noi e che dunque darsi troppa pena, oltre che sciocco, sia vano".
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