giovedì 8 gennaio 2015

Charlie Ground

Foto by Leonora
Si dice che siamo tutti Charlie, ma non è vero. Non lo siamo o lo siamo in modo ipocrita quando per timore delle conseguenze non difendiamo ciò in cui crediamo, quando per opportunismo scegliamo la via comoda, quando alla brutalità, invece dell'ironia o anche del sarcasmo sferzante di una battuta, opponiamo la medesima violenza.
Non siamo tutti Charlie. Loro lo erano e sono morti per questo. Un martirio che è nostro dovere rispettare, evitando il fuoco di paglia delle reazioni isteriche e attuando un cambio di stile vero, riconoscendo il male ovvero ciò che sporca, divide, divora, scinde, macchia, soffoca, uccide. Ed evitandolo.
Alle analisi frettolose, ai giudizi lapidari, al desiderio di crociata e a quello di jihad, ("Non c'è niente di intelligente da dire a proposito di un massacro", è una frase di Kurt Vonnegut, ringrazio Luca Corsolini per avermela ricordata) preferisco l'azione mite del fare memoria. Raccontare con onestà quanto avvenuto a Parigi e che ogni giorno accade in qualche parte del mondo, è una sorta di fotosintesi clorofilliana sociale, l'azione capace di trasformare qualsiasi anidride carbonica in ossigeno.
P.S. La penna non vince sulla spada quando si alza verso il cielo, bensì quando scrive, quando lascia sulla carta e nell'anima un segno, un tratto. Un articolo che esprime gli stessi concetti di questo post, meglio, è questo, di Fabio Chiusi, su Wired. E aggiungo pure l'editroriale sull'Eco di Giorgio Gandola, un giornalista che stimo, perché sa scegliere sempre le parole giuste, senza mai andare sopra le righe

Nessun commento: