domenica 4 gennaio 2015

La quinta traccia (disciplina e lavoro)

Foto by Leonora
Abitudini, stili di vita, tradizioni che appartengono a chi mi ha preceduto, di cui sono testimone diretto e che meritano di essere tramandate, per ricordare chi siamo, la radice da cui proveniamo.
Quattro esempi li ho già fatti l'altro giorno, oggi ne aggiungo un quinto: la disciplina del lavoro.
Potrei citare i miei genitori, che non si curavano particolarmente del rendimento scolastico, ma erano irremovibili sul fatto di non farmi saltare le lezioni. "Io vado a lavorare, tu vai a scuola. Punto" sosteneva mia madre, incurante delle mie lamentele per presunti mal di pancia mirati a saltare qualche interrogazione o un compito in classe. Pure le rare volte in cui la sceneggiata riusciva benissimo e potevo restarmene a letto il suo rammarico era tale che mi condizionava, facendomi sentire un poco di buono, impedendomi di gustare quella vacanza inaspettata, inducendomi ad evitare un tale espediente meschino nei mesi a venire.
Potrei ricordare Ambrogio, il socio di mio padre, che si ostinava a guidare il camion e a caricare e scaricare rottami anche con il piede ingessato o con le gambe ustionate dall'acido. Mio padre stesso in un solo giorno riusci a tagliarsi un polpaccio, andare al pronto soccorso, farsi dare una quindicina di punti di sutura, tornare a casa, dare una mano al suddetto Ambrogio, che fece improvvidamente cadere un ferro, che colpì mio padre al capo, così da doverlo far tornare per altri sette punti al pronto soccorso (avrò avuto quindici anni ed era estate, per cui al pomeriggio andavo all'oratorio ma al mattino ero con loro e ricordo nitidamente l'espressione del medico che ci accolse per la seconda volta esclamando sbalordito: "Ma come? E' ancora lei?").
Mio padre non era un eroe e neppure Stakanov. Semplicemente funzionava così.
Il papà della mia amica Anna, che faceva il barista, sei giorni su sette si alzava all'alba e tornava a casa che era sera da un pezzo. Così Angelo, che ha dato i natali a Stefania e Antonello e aveva un distributore di carburante a Lipomo.
Non era una prerogativa di chi lavorava in proprio, pure i dipendenti erano della stessa pasta, sia nel privato, sia nel pubblico. A Lurate ad esempio c'era una maestra elementare, Daniela Ortelli, che abitava sul lago, ad Argegno, e non mancava mai un giorno: persino quando nevicava forte, chissà come, lei era sempre puntuale, imperturbabile come Mary Poppins quando arriva con l'ombrello.
Potrei continuare a lungo, mi fermo qua, poiché ciò che volevo dire (e far capire) l'ho già detto.
Mi preme soltanto aggiungere che pur se quel senso del dovere in troppi casi si è smarrito, in molti è tuttora presente, anche se fanno più notizia gli sciagurati otto vigili ogni dieci che a Roma danno forfait per malattia la notte di Capodanno e gli altri mille casi di "lavativismo" cronico.
A Natale, ad esempio, mio cugino Fabrizio è arrivato leggermente tardi al pranzo in famiglia, poiché invece di addentare lui qualche prelibatezza era stato a sua volta morso, al braccio. Cose che capitano quando si fa l'operatore socio assistenziale e si lavora con ragazzi problematici, ma dopo esser stato medicato, senza fare drammi ha finito il turno e il giorno dopo si è regolamente presentato. L'ha fatto senza fanfare, né pretendendo che gli fosse appuntata una medaglia al petto, semmai in silenzio e con un filo di ironia, come avrebbe fatto suo padre e prima ancora nostro nonno, non per costrizione, per paura o per brama di denaro, bensì per senso del dovere, qualcosa di innato. Un'etica potrei anche definirla, che prescinde la punizione per chi non la rispetta e riguarda più la coscienza, lo stare in pace con se stessi, il sentirsi "a posto". Una moneta che non ha prezzo ma per chi la possiede vale moltissimo.

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