martedì 22 febbraio 2011

Egitto, Tunisia, Libia: le ragioni dell'altro


Guardo di rado i tg, leggo su giornali e internet ciò che accade dal lato opposto del Mediterraneo, senza rendermi conto della portata degli eventi. Tutto si riduce a rincorsa, resoconto contabile di vittime che non hanno volto né storia, vite che durano il tempo di pigiare il tasto del telecomando. Il tragico finisce spesso per lambire il grottesco (le immagini di Gheddafi, a bordo di un motocarro, una sorta di enorme Apecar, che bofonchia qualcosa dal finestrino e apre e chiude l'ombrello, forse per dimostrare che è ancora a Tripoli, dove sta piovendo, anche se lui sembra al chiuso d'un capannone, ha paragoni soltanto con la comicità paradossale dei Monthy Python). Cosa succeda davvero in quei posti nessuno sa dirlo, ed ecco perché sono importanti i giornali o comunque i mass media che sanno distinguere il falso dal vero, la chiacchiera dalla notizia, l'eco di un cannone da quello d'un tamburo. L'ignoranza, la disinformazione è così mista alle nostre paure e preoccupazioni, non estranee da egoismi. Arriveranno immigrati lasciati scappare dalle prigioni? Aumenterà il prezzo della benzina (come se non fosse aumentato anche prima di questo tempo)? Potremo tornare a viaggiare sicuri in quei luoghi? Io so solo quanta fatica costa considerare l'altro un essere umano, riconoscere a chi è lontano quei diritti, quelle opportunità, quelle aspirazioni, a cui noi non rinunciamo. Mi diceva Angelo, che ha lavorato in Egitto, che lì gli operai prendono un decimo di quanto guadagnano in Cina. Pochissimo, sotto la soglia non solo di povertà, ma anche di dignità. Non mi stupisco si ribellino. In attesa di assistere agli sviluppi della situazione, cerco di discernere tra i tanti pensieri un principio: l'unico modo per non perdere ciò che ho di più caro è quello di aiutare anche gli altri ad ottenerlo.


Foto by Leonora

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