Ormai ci ha lasciato da un pezzo, come molti dei personaggi che ho incontrato. Il professor Paolo Maggi è uno di quelli che ricordo più volentieri, perché abbinava alla curiosità del colto lo sguardo dolce dell'uomo buono. Suonai al campanello di casa sua il 10 dicembre del 1997.
Vivace. Paolo Maggi è un uomo vivace. Lo si capisce da come batte le mani sul tavolo, mentre parla, quasi a scandire il ritmo di pensieri e parole.
Lo s'intuisce da come si muove, alzandosi spessissimo per consultare un libro o recuperare un oggetto da mostrare all’interlocutore, per dare testimonianza di ciò che sta affermando. Il professor Maggi è capace di utilizzare strumenti comunicativi diversi, non limitati alla parola. Egli possiede, per farla breve, un’autentica abilità multimediale. Forse l’intervistato non approverà questo neologismo, ma siamo certi che non lo avrà nemmeno in orrore. E’ vero che multimediale – parola sconosciuta fino a qualche anno fa ed ora usata e abusata in tema di computer, informatica, elaboratori elettronici – ha attinenza con qualcosa che gli è completamente estraneo ("la tecnologia è una diavoleria, anche se spesso le diavolerie sono utili"), ma è altrettanto vero che si tratta di un termine squisitamente italiano ("troppo spesso i giornalisti infarciscono le frasi di vocaboli stranieri, senza sforzarsi di trovare un termine corrispondente nella nostra lingua"). Non basta. Multimediale è una tra le tante espressioni che il mondo contemporaneo, a qualsiasi latitudine e longitudine, ha preso a prestito gratuito dal latino, quel benamato latino che per un’intera vita lo ha affascinato e per quasi cinquant’anni ha insegnato.
Il professor Paolo Maggi abita in Via Porro.
Quando Gianni Clerici indicò in Londra la città estera che più gli ricordava Como, l’accostamento ci parve tanto arduo da non meritare pubblica menzione. Lo scrittore gira molto, pure troppo, pensammo. Clerici conoscerà Londra, ma non sa più com’è fatta Como. Dobbiamo chiedergli scusa. A non conoscer Como siamo noi. Via Porro sembra uscire dalle pagine di Arthur Conan Doyle. Un angolo verde e felicemente ignorato dal traffico ("Per anni e anni, quando a scuola mancava l’insegnante, gli studenti del Volta venivano qui a giocare al football").
Gli chiediamo cosa stia leggendo in questi giorni. Lui si irrigidisce, poi si alza, scruta lo scafale, esce dalla stanza, rientra, finalmente lo trova e ce lo passa. “Ginèstar” di Virginia Bernasconi Botta. "Lo leggo per adempiere ad un impegno" aggiunge. Legge molto? Scuote più volte il capo e, ripromettendosi di calibrare bene le parole, precisa: "Leggo poco. Alla mia età il campo degli interessi va riducendosi. Per i miei gusti i giornali sono troppo voluminosi. Indubbiamente ci saranno scritte tante cose interessanti, ma la loro lettura mi affatica. Una volta i giornali contavano solo quattro pagine, ma avevano più sostanza e più nerbo. Parole, parole, parole. E di molti argomenti non vale la pena leggere".
Oscar Wilde sentenziava che il giornalismo è illeggibile, la letteratura non è letta.
"Se lo diceva lui" ammicca il professore, che non vuole infierire e, a proposito di libri, aggiunge: "Un pasticciere non si abbuffa di dolci. Io ho vissuto una vita tra i libri. Leggo quando la necessità o l’occasione me lo impongono oppure per qualche sghiribizzo particolare. In questi giorni ad esempio – e intanto torna ad alzarsi per rovistare tra le carte depositate su una madia e mostrarci il bozzetto di una scultura– sto studiando l’iscrizione latina posta sul palchetto marmoreo sulla facciata del Duomo che ospita la statua di Plinio il giovane. Niente a che fare con cose complesse e grandi, bensì piccole ricerche su punti interessanti".
Lo studio delle iscrizioni non è una passione senile. "Sostenni la tesi di laurea sull’iscrizione del vaso di Duenos. Più tardi mi appassionai anche di archeologia. Accadde un fatto straordinario. Un amico, durante gli scavi per costruire la casa in Via Varesina, scoprì alcuni reperti risalenti ad un periodo anteriore di circa 500 anni la nascita di Cristo". Si interrompe e ci abbandona senza dare spiegazioni. Dopo un minuto torna e espone tre piccoli oggetti sul tavolo. "Questo è ciò che quell’amico mi ha lasciato in dono. Un piccolo vaso in terracotta, con delle curiose striature ottenute lisciando alcune parti prima della cottura; una fibula, usata probabilmente per raccogliere i capelli; una decorazione che costituiva verosimilmente un ornamento della fibula. L’archeologia, come il greco o il latino, è interessante perché ci aiuta a capire da dove veniamo e chi siamo".
Chi siamo, appunto. Lino Gelpi, che il professor Maggi conosce bene, sostiene che anche a Como mancano uomini validi. "Non sono d’accordo. A Como non possiamo lamentarci. C’è gente seria. Forse sono un po’ circoscritti, ma è gente solida, che si impegna. Non vedo, non registro uno scadimento rispetto al passato. E’ vero che conosco un numero limitato di persone e su 10, 15 casi non è possibile fondare una teoria, ma di persone valide Como è indubbiamente ricca. Penso agli insegnanti. Ce n’è qualcuno mediocre, molti apprezzabili e qualche altro di valore eccezionale. Penso a Federico Roncoroni o al suo quasi omonimo Angelo Roncoroni, ma potrei continuare".
Se dovesse consigliare ai suoi concittadini la lettura di qualche autore classico chi suggerirebbe?
"Virgilio" sussurra. E anticipando la nostra curiosità, conclude: "Lo ha scelto anche Dante. Virgilio è la premessa ad uno sviluppo di pensiero moderno. Senza badare se a parlare è la ragione o la passione direi anche Orazio oppure Lucrezio, ma Virgilio è senza dubbio il più moderno tra gli antichi". Antico e, al tempo stesso, moderno. Proprio come Maggi, la cui vivacità si distingue negli occhi. Occhi che scrutano, indagano, interrogano. Occhi che qualche volta si velano. Non vere e proprie lacrime. Un luccichio tenue e triste.
Ha nostalgia per il tempo trascorso?
"No. Mi mancano solo le tante persone care che non tornano più".
Da insegnante, dovendo giudicare un alunno, non ha mai ricordato di essere stato lei stesso un allievo, con ansie, paure, preoccupazioni?
"Quando si è professori bisogna un po’ essere come il chirurgo, il quale sa che facendo un certo taglio fa del male, ma sa anche che così facendo porta un bene maggiore. Ci sono delle partecipazioni che a volte è necessario mettere da parte".
In questi giorni sono frequenti le “occupazioni” delle scuole, cosa ne pensa?
"Non posso giudicare. Non conosco più i giovani. Gli unici alunni che ho sono quelli amabili dell’università della terza età e loro non protestano, al massimo si addormentano".
Como a parte, in quale città le sarebbe piaciuto vivere?
"In nessun altro posto. In questo senso sono un vero “ursus spelaeus”, un orso delle spelonche".
Giorgio Bardaglio
1 commento:
non era un mio prof, ma lo ricordo salire le scale con la sua cartella e salutare con un rapido cenno del capo! Un grande!
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