Le sono arrivati un paio d'orecchini, una felpa, un biglietto per il cinema, un piccolo orologio, un carrellino per trascinare lo zaino di scuola e infine un cavalletto per mettere le tele e dipingere a tempera o acquarello. Giorgia oggi era malaticcia ma ha avuto un sacco di regali per il suo undicesimo compleanno. Il pensiero più bello le è stato fatto da sua madre, ieri sera, quando a mezzanotte in punto ha messo una candelina su un enorme caramella gommosa e gliel'ha fatta spegnere, mentre stavamo vedendo un film insieme, sul divano. Da parte mia le lascio in pegno un bellissimo articolo di Giorgio Bocca, che ho letto settimana scorsa su L'Espresso e che riprende molti dei temi che mi sono cari e che ho trattato in questo blog. Lo ricopio qui, in omaggio a un maestro, a molti amici e a una bimba che voglio stringere abbastanza da farle capire quanto a lei tengo, ma non troppo perché possa un giorno diventare donna e prendere il volo.
Penso di continuo, da padre, a come garantire il futuro dei miei figli e nipoti, anche se mi rendo conto benissimo che in certo modo forzo i loro desideri e le loro scelte, che è un sopruso da vecchio. Ma che altro è la famiglia se non quest'intreccio di contraddizioni, di lacci e lacciuoli da cui cerchiamo di scioglierci mentre li stringiamo?
Mi rendo conto di continuo che l'educazione permissiva è un errore, che l'educazione senza verghe non li abitua alle punizioni e ai sacrifici, ma appena sento di genitori duri e aridi compiango i loro figli. Com'è difficile vivere e come è insostituibile vivere anche nei suoi errori. Non la finisco mai di tediare i miei figli e nipoti con la necessità della parsimonia, se non del sacrificio, non cesso mai di ricordargli i vantaggi di un padre lavoratore, risparmiatore, di ricordargli che la presente fortuna è sempre a rischio, che la triste povertà è sempre in agguato. Arrivo all'assurdo di rimproverargli in cuor mio di non aver fatto i sacrifici che giustamente potevano evitare. Di non aver osato e rischiato quando non ne avevano bisogno o quando sarebbe stato un errore osare e rischiare.
So che questo colloquio interiore con figli e nipoti è privo di senso, una copia in falsetto del colloquio interiore che certamente essi hanno con me, ma come sostituirlo, come non rendersi conto che la famiglia è questo e non altro: un eterno compromesso fra gli affetti e il buon senso, fra il buon pater familias e i giovani vitali e istintivi che siamo stati, fra le generazioni che continuano ma cambiano, e questa è la sola labile storia che li unisca, una storia che ci segue e comanda.
I parenti saggi, per dire quelli della mia età che sono saggi finché non danno fuori se non di matto, ma da imprevedibili come tutti siamo, mi ripetono i loro consigli: alla figlia dai troppi soldi, non imparerà mai a vivere del suo, del ragazzo non freni la violenza che ora è voglia di vivere ma potrebbe diventare arroganza o prepotenza.
Hanno ragione, ma a parole, non nella vita come è, ed è la vita com'è che non insegna niente a nessuno, checché ne dicano i libri di scuola, che costringe tutti a ripetere gli stessi errori salvo diventare un tronco d'albero senza più vita. Ora ti frena e ora ti consiglia a non remare contro ai desideri e ai capricci dei figli. Il miracolo della famiglia è di resistere negli anni alle sue contraddizioni, ai confronti dei difetti e dei gusti, di far vivere fianco a fianco per anni persone legate nel sangue ma diversissime in tutto il resto, insomma il miracolo di vincere la noia familiare e di far prevalere i conforti, gli imprevedibili conforti familiari di cui mi sono reso conto negli anni di ferocia che abbiamo chiamato di piombo.
In quegli anni ho visto che gli unici legami che resistevano alla paura e all'odio erano quelli familiari, che gli unici a non ripudiare il figlio terrorista o sbirro erano i parenti, gli unici che incontravi nei parlatori delle carceri o nelle corsie degli ospedali. È la constatazione che a superare le prove supreme della parentela, della comune origine, della comune storia è un legame carnale, un fatto diciamo bestiale più che intellettuale ci richiama al mistero dell'umana esistenza pronta a uccidere per sopravvivere e a morire per solidarietà.
Penso di continuo, da padre, a come garantire il futuro dei miei figli e nipoti, anche se mi rendo conto benissimo che in certo modo forzo i loro desideri e le loro scelte, che è un sopruso da vecchio. Ma che altro è la famiglia se non quest'intreccio di contraddizioni, di lacci e lacciuoli da cui cerchiamo di scioglierci mentre li stringiamo?
Mi rendo conto di continuo che l'educazione permissiva è un errore, che l'educazione senza verghe non li abitua alle punizioni e ai sacrifici, ma appena sento di genitori duri e aridi compiango i loro figli. Com'è difficile vivere e come è insostituibile vivere anche nei suoi errori. Non la finisco mai di tediare i miei figli e nipoti con la necessità della parsimonia, se non del sacrificio, non cesso mai di ricordargli i vantaggi di un padre lavoratore, risparmiatore, di ricordargli che la presente fortuna è sempre a rischio, che la triste povertà è sempre in agguato. Arrivo all'assurdo di rimproverargli in cuor mio di non aver fatto i sacrifici che giustamente potevano evitare. Di non aver osato e rischiato quando non ne avevano bisogno o quando sarebbe stato un errore osare e rischiare.
So che questo colloquio interiore con figli e nipoti è privo di senso, una copia in falsetto del colloquio interiore che certamente essi hanno con me, ma come sostituirlo, come non rendersi conto che la famiglia è questo e non altro: un eterno compromesso fra gli affetti e il buon senso, fra il buon pater familias e i giovani vitali e istintivi che siamo stati, fra le generazioni che continuano ma cambiano, e questa è la sola labile storia che li unisca, una storia che ci segue e comanda.
I parenti saggi, per dire quelli della mia età che sono saggi finché non danno fuori se non di matto, ma da imprevedibili come tutti siamo, mi ripetono i loro consigli: alla figlia dai troppi soldi, non imparerà mai a vivere del suo, del ragazzo non freni la violenza che ora è voglia di vivere ma potrebbe diventare arroganza o prepotenza.
Hanno ragione, ma a parole, non nella vita come è, ed è la vita com'è che non insegna niente a nessuno, checché ne dicano i libri di scuola, che costringe tutti a ripetere gli stessi errori salvo diventare un tronco d'albero senza più vita. Ora ti frena e ora ti consiglia a non remare contro ai desideri e ai capricci dei figli. Il miracolo della famiglia è di resistere negli anni alle sue contraddizioni, ai confronti dei difetti e dei gusti, di far vivere fianco a fianco per anni persone legate nel sangue ma diversissime in tutto il resto, insomma il miracolo di vincere la noia familiare e di far prevalere i conforti, gli imprevedibili conforti familiari di cui mi sono reso conto negli anni di ferocia che abbiamo chiamato di piombo.
In quegli anni ho visto che gli unici legami che resistevano alla paura e all'odio erano quelli familiari, che gli unici a non ripudiare il figlio terrorista o sbirro erano i parenti, gli unici che incontravi nei parlatori delle carceri o nelle corsie degli ospedali. È la constatazione che a superare le prove supreme della parentela, della comune origine, della comune storia è un legame carnale, un fatto diciamo bestiale più che intellettuale ci richiama al mistero dell'umana esistenza pronta a uccidere per sopravvivere e a morire per solidarietà.
Foto by Leonora
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