Nell'ora e mezza che passanno con lui non si alzò mai in piedi. Lo abbiamo trovato scritto negli appunti di quel giorno, il 16 aprile 1998, ma non lo ricordavamo affatto. Giovanni Lo Gatto del grande accusatore, come imponeva il suo ruolo, non aveva nulla. Lo scrivemmo: ci parve un uomo buono. Oggi, che pure il tempo è passato ed è andato in pensione da un pezzo, trascorre ore in biblioteca. O almeno le passava, un anno fa, quando lo incotrammo di nuovo. Mettiamo qui la sua intervista, per far seguito a quella di Virzì, ritenendo così compiuto un mini capitolo dedicato alla giustizia. Rileggendola, ci è sembrata interessante la parte su tangentopoli, su come mai sia finita. "All’inizio degli anni ’90, per una serie di circostanze, si creò un clima favorevole che fece scattare un meccanismo di segnalazione delle illegalità. I magistrati quando sentono il sostegno dell'opinione pubblica diventano più forti. Il contesto in cui si lavora è importante. Ora c'è stato un raffreddamento: lo si evince dagli atteggiamenti dei politici. Gruppi che prima sostenevano l’operazione “mani pulite” ora hanno quanto meno affievolito il loro impegno".
Credo sia una verità. Che testimonia come i giudici, da soli, non possano fare una rivoluzione, né far cadere un regime. C'è chi vede in ciò un limite, per me rimane la migliore garanzia per uno Stato che vuole continuare ad essere democratico.
Come i soldi per un avaro. Come l’acqua per un abitante del deserto. Giovanni Lo Gatto usa le parole con parsimonia estrema. E’ arduo che una sua frase contenga più vocaboli di quanti se ne possano contare sulle dita di una mano. I termini egli non solo li centellina. Usa anche squadrarli, pesarli e misurarli ad uno ad uno. Con accortezza e rigore. Non è unicamente una questioni di numeri, ma anche di toni.
Giovanni è Lo Gatto non soltanto di cognome. Il felino domestico è felpato nel passo, lui invece nel modo di parlare.
In un aula di tribunale ammettiamo di non averlo mai visto, ma scommettiamo che neppure lì abbia mai alzato la voce. Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Como da oltre tre decenni, Lo Gatto è un uomo di legge tutto d’un pezzo. Nel corso della sua carriera ha sostenuto l’accusa, come pubblico ministero, in migliaia di processi, ma non ce lo immaginiamo affatto accanirsi pervicacemente nei confronti di una persona, fosse anche un incallito criminale. Con una faccia come la sua, non se lo potrebbe permettere. E’ vero che le caratteristiche somatiche non hanno relazione con il carattere di una persona, eppure certi uomini di legge hanno nel volto certi tratti sottili e taglienti che inducono a pensare ad una pignoleria e ad una inflessibilità che sovente si imparenta con il fanatismo. Non è il suo caso. Al contrario, i suoi occhi sottolineano una certa vocazione alla bonarietà.
Giovanni Lo Gatto ci riceve nel suo ufficio, al quinto piano del Palazzo di Giustizia. Un ampio e luminoso locale, in perfetta sintonia con la sobrietà dell’uomo e la dignità del personaggio.
Come mai scelse la magistratura?
“A me non dispiaceva medicina, ma la prima volta che visitai un laboratorio di patologia stetti piuttosto male e scartai l’ipotesi di diventare medico”.
Non si è pentito?
“Mai. Anche se durante il primo incarico di pretore venni spesso delegato per le indagini autopsiche e dovetti fare l’abitudine a veder sezionare i cadaveri. Il destino sa essere beffardo”.
Dopo essere stato a Brescia, Castiglione delle Stiviere e Intra, nel 1964 arrivò a Como. Cosa trovò?
“Tranquillità. Il reato più frequente era il contrabbando. Per rompere la monotonia ci contendevamo qualche omicidio in giudizio alla Corte d’Assise”.
Ora invece?
“La situazione si è deteriorata. Droga, terrorismo, reati contro la pubblica amministrazione, tangenti. La condizione lariana si è omologata a quella nazionale”.
Con gli abitanti di Como si trovò subito a proprio agio?
“Sì. Nel tempo ho coltivato numerose amicizie. I comaschi sono meno esuberanti dei meridionali”. In principio parla dei comaschi alla terza persona plurale, ma l’impressione è che a Lo Gatto scappi da un momento all’altro un “noi”. Infatti accade. “Noi siamo meno estroversi – confida il procuratore - un po’ più diffidenti nei confronti di chi viene da fuori, ma una volta che l’amicizia si è cementata sappiamo essere generosi”. Il pronome personale non è di maniera, sottolinea un’appartenenza. Giovanni Lo Gatto è nato sessantotto anni fa a Napoli, ma della sua terra ha conservato l’accento e poco altro. Se per comasco si intende un modo di vita senza clamori, discreto, riservato Lo Gatto lo è a tutto tondo. E tale egli si sente.
Attualmente parecchie polemiche coinvolgono la magistratura. Cosa ne pensa?
“Per rispondere in sintesi, sono d’accordo con la posizione della procura di Milano”.
Ma le loro toghe non sono rosse?
“Voler dare una coloritura politica al pool di “mani pulite” porta completamente fuori strada. Il pool è composto da magistrati di diverse tendenze”.
Certe voci fanno allora parte di un piano per screditare la magistratura?
“Ai complotti e ai disegni credo poco. Avverto piuttosto un certo risentimento, una certa insofferenza nei confronti dei magistrati da parte di coloro che, per motivi vari, erano abituati ad essere esenti da ogni controllo”.
Si riferisce alle persone coinvolte in Tangentopoli?
“Soprattutto a loro. All’inizio degli anni ’90, per una serie di circostanze, si creò un clima favorevole che fece scattare un meccanismo di segnalazione delle illegalità”.
E i magistrati?
“Quando si sente il sostegno dell’opinione pubblica si diventa più forti. Il contesto in cui si lavora è importante”.
Quel clima favorevole esiste ancora?
“Indubbiamente registriamo un raffreddamento”.
Scusi l’insistenza. Per parlare il vostro stesso linguaggio, questo calo di tensione può essere dimostrato attraverso dei fatti, delle prove oppure ci sono solo degli indizi?
“Lo si evince dagli atteggiamenti dei politici. Gruppi che prima sostenevano l’operazione “mani pulite” ora hanno quanto meno affievolito il loro impegno”.
C’è una via d’uscita?
“L’auspicio è che i poteri di controllo all’interno della pubblica amministrazione diventino sempre più efficaci ed effettivi, in modo che la nostra sia un’azione residuale”.
In questo modo si diminuirebbero i carichi di lavoro, rendendo la giustizia più rapida?
“Indubbiamente. E qualcosa si potrebbe fare anche livello legislativo”.
Cosa?
“Inasprire le sanzioni serve a poco. Il problema è quello della loro effettività. Occorre la certezza della pena. In Italia è questo che manca. La sentenza definitiva arriva con anni di ritardo. Nel penale almeno la sentenza di secondo grado dovrebbe essere esecutiva. E poi l’azione della Cassazione dovrebbe essere limitata ai motivi di legittimità. Due punti fondamentali”.
Mentre parla Lo Gatto tiene in mano una pipa.
“E’ una compagna fedele da circa vent’anni. Le sigarette le fumavo anche mentre lavoravo, con la pipa non è possibile. La accendo solo quando ho un momento di relax, altrimenti la tengo spenta”.
Fuori da questo ufficio, che altre passioni ha?
“Interessi storici. A partire dalla rivoluzione francese in poi”.
C’è qualche personaggio che più l’ha affascinata.
“Ce ne sono parecchi, ma non faccio nomi poiché non vorrei fare un torto agli altri”.
Fare torti può capitare ad un magistrato. La sua è una professione che comporta problemi di coscienza.
“Il nostro è un lavoro angoscioso. Più grave è il reato, maggiore è la perplessità nel decidere”.
Ha sempre dormito la notte?
“Se non l’ho fatto era per il dubbio di una scelta, mai perché non mi sono sentito in pace con la mia coscienza”.
Giorgio Bardaglio
Qualche nota a margine, mai pubblicata.
Si sente comasco?
“Credo di poter pretendere con qualche fondamento la cittadinanza comasca onoraria”.
“Il Procuratore della Repubblica è il titolare dell’azione penale, colui che inizia l’azione penale ove abbia cognizione di un reato o ne abbia ricevuto notizia. Egli esercita l’azione penale direttamente, oppure delegando i suoi sostituti.
Date le dimensioni medie del nostro ufficio non possiamo formare dei pool, però cerchiamo di ritaglairci ognuno una specifica competenza. In linea generale si mantiene questa competenza”.
Virzì considera la peggiore iattura quella di eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale. Le notizie di reato sono moltissime. Non è possibile occuparsene di tutte. Come fate a scegliere?
“Ci sono delle direttive di massima del Consiglio Superiore della Magistratura, che invitano a non seguire un criterio puramente cronologico”.
Torniamo a Tangentopoli. Se il clima è favorevole non si scelgono quelle cartelle?
“No. La pressione dell’opinione pubblica non arriva a tanto. Conta la cronologia, ma anche la gravità dei fatti”.
Giovanni Lo Gatto è nato sessantotto anni fa a Napoli. Delle origini gli è rimasto l’accento e poco altro. Della terra partenopea non ha certo l’esuberanza.
“Dopo aver conseguito la maturità classica mi si presentò un bivio. Dovevo scegliere tra la facoltà di medicina e quella di giurisprudenza”.
Da che famiglia proviene?
“Media borghesia. Mio padre era ragioniere”.
Come mai scartò l’avvocatura?
“Fare l’avvocato con dignità nel meridione era difficile, bisogna occuparsi di una pluralità di questioni, senza possibilità di specializzazione”.
3 commenti:
lo scrivemmo, giorgio, non "scrissimo", te lo dice un antico allievo di maggi e cerutti.
grazie della compagnia.
LUCA
Visto, cosparso il capo di cenere e corretto.
Grazie Luca, per avermi evitato figure peggiori
nooo!!! peccato!! era così poetico, una smagliatura su calze collant che rivestono gambe sexi!!! un piccolo neo, una ruga d'espressione....scrissimo ti faceva così perfettamente umano!!
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