Wyatt Earp
Ho scoperto di recente l'ovvio. Una delle tante ovvietà, meglio, cioè che esiste una velocità di crociera - quattro chilometri all’ora - superata la quale è più difficile pensare, riflettere, ragionare.
Camminare è un ottimo modo per concentrarsi, per elaborare pensieri, pure per dialogare con l'altro, farlo a passo sostenuto è più difficile, se poi si corre addio del tutto.
Una condizione, quella della lentezza, dell'andare adagio (ad agio), non sufficiente ma necessaria per far funzionare a pieno regime il cervello. Il nostro almeno, di noi esseri umani a cavallo di questo scorcio di millennio, il primo che introduce la velocità non soltanto dal punta di vista fisico, ma pure mentale, grazie alla tecnologia, ai computer, alla rete. Una rapidità tonante, un guizzare di informazioni di cui non sempre ci accorgiamo, se non indirettamente, essendoci immersi, continuamente sollecitati a risposte che siano all'altezza di tale stimolo, allenandoci a nostra volta ad essere svelti, lesti, spicci, pronti.
Me ne sono accorto ieri l'altro, notando che sempre più spesso evito di rispondere ai messaggi in forma scritta, optando per i vocali, che accorciano i tempi necessari ad esprimere un concetto, senza la scocciatura - la perdita di tempo - del conversare tradizionale, al telefono.
Però, per quel barlume critico che mi resta appiccicato addosso, nonostante il rischio di diventare noioso per primo a me stesso, non riesco a ignorare in questa modalità un rischio, un pericolo.
Esattamente come se si corresse sempre, togliere il tempo dell'attesa imposto dalla scrittura non è esente da limiti, presenta sempre un conto, fa perdere qualcosa, cambiando la forma stessa del comunicare e non facendoci soltanto risparmiare qualche secondo.
P.S. Sono ovvietà, lo so. Esperti e studiosi ben più competenti avranno già riflettuto (senza fretta, spero), meditato, scritto, dibattuto. Io però lo appunto qui lo stesso, come promemoria, come sempre, primo per me stesso.
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