“Tenersi in punta di piedi non è crescere.”
(Lao Tse)
La paura di perdere i genitori, di restare orfano, mi ha preso una serata di primavera o forse autunno.
Era domenica, questo è certo.
Avrò avuto sedici anni, un tempo in cui non esistevano i cellulari eppure ce la cavavamo lo stesso, in un modo che ora pare impossibile o arduo, ma che allora era abituale e normalissimo, affidandoci in estrema urgenza al telefono di casa o quello a gettoni, nelle cabine della Sip, che era la nonna della Tim, la mamma della Telecom.
I miei sarebbero dovuti tornare dalla Valtellina verso le sei, massimo le sette di sera, come al solito.
Alle otto neanche l'ombra. Alle nove, neppure.
Ricordo i dettagli in modo vago, mentre ho memoria precisa del crescendo vorticoso con cui i pensieri negativi arrivarono ad ebollizione, quel tarlo dapprima lieve poi cocciuto e ossessivo, che spazzò via possibili spiegazioni e rassicurazioni che cercavo di darmi, sempre più disperato, singhiozzando, a un certo punto piangendo.
Telefonai persino alla Polizia stradale, dimostrando un'audacia che di me non conoscevo, per sapere se c'erano stati incidenti. Fui rassicurato dall'operatore, ma non a sufficienza e continuai ad arrovellarmi, finché a buio inoltrato, saranno state le dieci o le undici, vidi in fondo alla strada di casa i fanali accesi dell'auto e finalmente mia madre e poi mio padre scendere, sorridere, dicendomi che c'era stato un inconveniente e che si erano fermati a mangiare, ma nulla di grave, di brutto.
Il sollievo risultò di gran lunga più intenso del disappunto e mi resi consapevole quasi subito che era stata una sorta di passaggio, una prova che avrei volentieri evitato, ma che affrontare e superare era d'obbligo.
P.S. Ho avuto preoccupazioni prima di quel giorno e altre - assai più fondate - dopo, tuttavia ho sempre considerato quella sera lo spartiacque tra i timori irrazionali, giganteschi, di quando ero bambino e il terrore fondato, autentico, glaciale degli adulti, quello in cui si prendono meglio le misure e si distinguono le ombre proiettate sul fondo della caverna dalla dimensione reale di ciò che le proietta, bello che sia o brutto. Credo che anche questo sia "diventare grandi" ed è il motivo per cui ho nostalgia del bimbo che ero, senza rimpiangerlo.
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