Due cose durevoli possiamo sperare di lasciare in eredità ai nostri figli: le radici e le ali.
(Proverbio cinese)
Non si può nascondere ciò che ci ha generato e - nel bene e nel male, per allinearci o per distinguerci - non possiamo dimenticare ciò di cui siamo frutto.
Non è una condanna, né una sentenza a titolo definitivo, bensì un'indicazione, un orientamento: la consapevolezza che facciamo parte di una linea temporale e di culture diverse, che si incrociano, da una parte orgogliosi del buono che portiamo in dote, dall'altra aperti alle differenze e alla varietà di chi ci troviamo accanto.
"Seppellire le proprie radici" l'ho sentito dire da una signora garbata ed elegante, con una erre che ne tradisce la nazionalità francese e un cognome che certifica l'origine bergamasca: Fracassetti.
Yvonne Fracassetti, autrice del libro "Partire", il racconto di una storia interrotta, quella della sua famiglia, dei suoi genitori, emigrati nel dopo guerra da Sedrina, all'imbocco della Val Brembana, innestati con un taglio netto a migliaia di chilometri di distanza.
Yvonne racconta che della loro provenienza non parlavano mai, così come era bandita la lingua italiana, perché "Si parla la lingua del paese che ci dà da mangiare", punto e basta.
"I miei genitori hanno deciso di seppellire le loro radici" rivela Yvonne, senza espressione emotiva, come un puro rilievo fattuale, qualcosa che è capitato, come accade che sorga il sole o che nevichi o piova.
Le radici però germogliano sempre, quando sono seppellite ancora di più, e lo sostengo per esperienza diretta, conoscendo la mia d'una storia e quella dei parenti americani, ritrovati una ventina d'anni fa, dopo un secolo d'apnea.
Quanti sono da generazioni in un luogo affievoliscono il loro senso di appartenenza, dando per scontato, naturale, il luogo che abitano; coloro che sono dovuti emigrare, invece, forse per evitare una sofferenza troppo forte, spesso recidono di netto i legami con le loro origini e per il loro nuovo paese hanno un attaccamento, una gratitudine che deborda in devozione vera e propria; la terza generazione, quella dei figli, sente casa completamente propria quella in cui sono stati partoriti, ma avvertono una tensione, un innato desiderio di conoscenza per la terra di cui portano i geni e il cognome.
Uno schema non matematico, ma frequente.
"Abbiamo radici plurime e ne siamo molto fieri" conclude Yvonne, con una frase che potrebbe essere manifesto per questa nostra epoca, fatta -come le altre - di migrazioni, di partenze ed arrivi, addii e ritorni, salti nel buio e atterraggi morbidi o di fortuna.
P.S. Le sue "radici" Yvonne le ha raccontate in un libro, per le mie sono bastate poco più delle solite venti righe, scritte una dozzina d'anni fa, in saluto di una persona a cui sono grato per sempre e non dimenticherò mai. Grazie ancora George.
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