“Credo che le parentesi siano di gran lunga le parti più importanti di una lettera che non sia d'affari.”
(David Herbert Lawrence)
Mi sono incuriosito e ho fatto il conto: sono tre anni e mezzo che in questo blog compare una parentesi, ad integrazione o in aggiunta di un titolo.
Anche prima capitava, in modo saltuario, mentre è diventata regola aurea senza volerlo da metà aprile del 2018, un sabato, con un post in cui si intendevano i social network come bar, con le categorie di frequentatori che uno si sceglie oppure accetta, se decide di tirare dritto e di esporsi pubblicamente per lavoro.
Un argomento d'attualità pure adesso, specialmente per me, che commenti e pareri vado a leggere spesso, rispondendo sempre, quando mi riguardano.
Sono fortunato. Ho un pubblico esiguo, almeno qui, e su Instagram o Facebook. Faccio presto a rispondere e in genere nessuno mi mette in imbarazzo. Anzi, più sono netti, decisi, polemici, più volentieri replico.
Probabilmente diverso sarebbe se avessi un seguito ampio e se trattassi argomenti che di per sé infiammano, quali la politica, il calcio.
Ieri l'altro, ad esempio, sono incappato nel profilo Instagram di un giornalista che stimo ed è mio conterraneo, pur se di persona non lo conosco, Fabrizio Biasin.
Ad un suo post, per altro non uno dei più caustici, seguivano una serie di contumelie, ingiurie, offese, male parole e volgarità che forse soltanto Cruciani non avrebbe alzato un sopracciglio.
"Povero Biasin" ho pensato. Davvero occorre una buona dose di autostima e di cinismo, per ignorare tanto fango che adorna il proprio giardino. Poi però ho riflettuto su una delle magnifiche leggi di questo universo, quella secondo cui dai diamanti non cresce nulla (se non il proprio conto in banca e -voi direte - non è poco) mentre dal letame nascono i fior.
Un ammirato mazzo di rose in omaggio a chi l'ha capito e ha trasformato quel bar in passione e affari, senza scandalizzarsi se a frequentarlo è un variegato pubblico, metà armata brancaleone e metà mucchio selvaggio.
P.S. Da tre anni e mezzo nei miei post i titoli comprendono una parentesi e nel testo c'è un post scriptum, come questo, in cui ho l’obbligo di citare mio cugino, che è tifosissimo dell’Inter, come Biasin, e si chiama anch’egli Fabrizio, pur se noi in famiglia lo chiamiamo “Bito”, il nomignolo che aveva quando era piccolo, a cui mia madre aggiunge sempre, chissà perché, un “Povero”, scuotendo lievemente il capo ogni volta che lo nomina, sospirando: “Povero Bito”.
Anzi, in dialetto comasco, “Poor Bito”.
E lo ripete altresì se la circostanza non lo vede povero affatto.
Tipo: “Hai saputo? Il Bito ha comprato la macchina. Poor Bito…”.
Oppure: “È partito ieri per le vacanze, poor Bito…”.
Se dunque domani mio cugino dovesse vincere al Superenalotto, sapete già quale sarebbe di mia madre il commento.
Poiché nulla è più forte del sentimento, dell’affetto bonario con cui una donna guarda al proprio cucciolo, anche se nel frattempo è diventato uomo e ha un’età che potrebbe già diventare a sua volta nonno.
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