Ne ho apprezzato il tono, la scrittura, le riflessioni, alcune delle quali - lo scrivo senza imbarazzo - hanno cambiato l'uomo che sono, il modo di intendere il mondo, introducendo un sentimento di tolleranza che prima non avevo.
C'è un altro passaggio che mi è rimasto impresso, quando racconta della moglie, della madre di suo figlio, che lui non chiama per nome proprio, definendola con un atteggiamento: "Che sarà mai?". La signora "Che sarà mai".
Vado a memoria, per spiegare meglio cosa intende: una persona che alla pesantezza preferisce la lievità, al trattenere e covare il lasciar correre, riducendo il tutto all'essenzialità della realtà oggettiva, senza caricare di altro significato.
Alcuni possibili esempi concreti.
"Luigino si è rotto il braccio? Che sarà mai, s'è rotto un braccio...".
"Il bicchiere è caduto e ha sporcato di vino il tappeto? Che sarà mai, s'è sporcato il tappeto...".
"Ci siamo svegliati tardi e abbiamo accumulati ritardi fino a perdere l'aereo? Che sarà mai, abbiamo perso l'aereo...".
In questi mesi, nei confronti delle persone che mi stanno accanto ho espresso spesso il desiderio che siano simili alla signora "Che sarà mai", cioè il contrario di pesanti, grevi, insistenti, pignole.
Da qualche giorno ho intuito che attenderlo dagli altri è arduo prima ancora che sbagliato: l'unico cambiamento che si può pretendere è quello che declinato in prima persona (prima persona singolare, al massimo plurale, ma sempre e soltanto prima persona).
P.S. Giuro, ci sto provando. Non sempre mi riesce, specialmente con le persone che mi vogliono più bene e con le quali sono in confidenza, ma non c'è occasione in cui - quando la metto giù dura e sono pesante, permaloso, complicato - penso che il signor "Che sarà mai" dovrei esserlo io.
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