Il giorno prima che arrivasse mi hai fatto cento domande, quasi buttate là, come distratto, per non dare l'impressione che ti interessasse davvero.
Poi l'incontro, a mezzogiorno di sabato, lui in piedi in cucina, sotto, due metri d'uomo, tu entrato dopo aver fatto la spesa, un soldo di cacio, con un sorriso da orecchio a orecchio, un filo imbarazzato e più che altro ammirato, da quella pertica di ragazzo, solare, moro, bello.
Non ne abbiamo più parlato ma io so perché lo aspettavi, perché nel vederlo eri così contento: in lui aspettavi di vedere te, tra vent'anni, una sorta di salto rassicurante nel tempo, perché se ce l'ha fatta lui puoi farcela pure tu. Una sensazione confermata dalle domande che con discrezione, nelle ore successive, gli hai fatto.
Che numero di scarpe portava alla tua età? Quanto era alto? Era vero che era timido e parlava poco?
Lui ti ha risposto con pazienza, con quella luce negli occhi che fa da contrasto alla voce profonda, calma, da basso.
Sono contento che vi siate conosciuti, lui è la testimonianza che l'albero buono non teme bufera, tempeste, fulmini, vento. Ciò non significa indifferenza, assenza di riguardo, protezione, specialmente quando l'essere umano è appena un germoglio, tuttavia aiuta a mettere a fuoco le priorità, l'attenzione al carattere, alla capacità di empatia, alla sensibilità, a tutto ciò che irrobustisce la pianta, rendendola forte, radicata nel suolo.
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