martedì 20 ottobre 2020

Gettare in mare (Con poco riguardo)

Ti sei coperto con le mani il volto e lì ho compreso che avresti ceduto. Mi hai colto di sorpresa, era un discutere da poco, sull'aver fatto i compiti o meno e su un'insufficienza in matematica che credevo fosse risaputa, invece era una confidenza che mi avevi fatto.
Ti devo chiedere scusa, non l'avevo capito.
Così come non ho capito che una vicenda per me banale fosse per te spina nel fianco, peso greve sul tuo torace da dodicenne che sta diventando robusto, ma dentro rimane bambino.
Il pianto che n'è seguito ha dato la portata di quale nervo avessi toccato.
È stato Giacomo a farmelo notare, con quel fare burbero e insieme protettivo che ha di solito. "Papà, basta!" è sbottato. Ad essere onesto però mi ha scosso più il silenzio di Giorgia e soprattutto Giovanni, che raramente con te è tenero.
Io avrei continuato il discorso, cercando di sdrammatizzare, di farti intendere che non era nulla di grave, che se ne parlavamo lì, attorno al tavolo dove stavamo cenando, era proprio perché potevi sentirti tranquillo.
Sbagliavo.
A volte i padri, i maschi adulti, meglio, sono così: gettano in mare per far imparare a nuotare, si preoccupano poco di delicatezze, riguardi, attenzioni, sanno che il mondo è duro di per sé e che l'unico modo di proteggere non è mettere sotto una campana di vetro, bensì esporre fin da subito a intemperie e inciampi, sgambetti e schiaffi che riserva il destino.
Non dico sia giusto. Però capita, a che mondo è mondo.
L'abbraccio che ci siamo dati, mezz'ora dopo, quando il magone è rientrato, ha chiuso la parentesi e aperto di nuovo un reciproco credito, come avviene sempre tra persone che si vogliono bene e insieme superano tutto, il poco e il tanto.

Nessun commento: