Lo siamo anche noi, per la laurea magistrale in psicologia, ma ancor più per la persona che sei, Silvia, prima della nostra ultima generazione, di una famiglia allargata che ha sempre dimostrato di essere tale, nella sua accezione più bella, cioè con legami di affetto e solidarietà che non prescindono mai dalla libertà del singolo e dall'interesse generale della comunità in cui si abita (che altrimenti non saremmo famiglia, bensì mafia).
Vale per la parte di tua madre, così come quella di tuo padre.
Anche in tempi di prova - soprattutto in tempi di prova - portiamo indelebile in dote una tela di fibra grezza, robusta, tessuta con cura da chi ci ha preceduto, la cui eredità più grande è proprio l'esempio, la capacità di uscire in positivo dalle difficoltà incontrate lungo il cammino.
Noi siamo quella gente lì, Silvia, noi siamo quelle persone così, non esenti da difetti - tutt'altro - ma che dai difetti non si fa schiacciare, che un passo dopo l'altro ne viene fuori e ambisce a essere un poco migliori del giorno prima.
Discorsi. Parole come potrei scriverne a milioni, anche se il giorno della tua laurea, sentendoti così preparata e pronta, con la tua giacca rosa, nell'esposizione della tesi a distanza, non sono riuscito a disgiungere quell'immagine da un'altra, che riguarda proprio il fratello di mia madre, tuo nonno Gianni, e che mi è stata più volte raccontata, di lui bambino, rimasto senza padre, povero d'una povertà nera, che aveva portato a casa un pezzo di cuoio da mettere sotto gli zoccoli di legno, come suola.
"L'ho trovato per strada" aveva detto prontamente allo zio Emilio, che aveva appena il doppio dei suoi anni e lavorava in vetreria.
Era un bel pezzo di cuoio, di "corame", come lo si chiamava in dialetto allora, chiaro, lucente, asciutto.
Strano. Fuori pioveva.
Una pioggia sulla quale si infransero le speranze di quel ragazzino di farla franca.
Ma questa è soltanto la polpa della storia. Il nocciolo è che quel pezzo di cuoio costrinsero a riconsegnarlo di persona al calzolaio, assumendosene la responsabilità, chiedendo scusa.
Ecco, ieri mentre ti ascoltavo ho pensato subito anch'io a tuo nonno, al filo ininterrotto che da quel bambino biondo platino porta fino a te, a voi nipoti, alla strada che è stata fatta e a quella che ci sarà da fare, al brutto e al bello che è stato e a quello che verrà, senza perdere mai fiducia, ottimismo, speranza.
P.S. Si dice che sediamo sulle spalle dei giganti. La verità è che siamo giganti noi stessi, anche se non ce ne rendiamo conto se non alla fine, quando giungiamo in cima alla pigna.
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