giovedì 8 ottobre 2020

Primo comandamento (È cosa buona ed equa)

Imparerai che nella vita è difficile accettare ordini, ma pure darne, comandare, specialmente se vorrai essere "giusto", perché giusti si riesce ad esserlo di rado, al massimo "equi", che poi è ciò che cerco di essere io, equo, come strumento di difesa, oltre che leva per non restare spalle al muro.
Imparerai tutto questo e pure a sopportare il rumore di fondo che a volte si crea e che è un ribollire in pentola, un borbottio diffuso, alimentato da chi mai è contento, da quanti per lamentarsi trovano immancabilmente un pretesto.
In quel caso, sappi che la battaglia è persa e l'unica uscita è tirare dritto, cercando di non farsi corrompere, riuscendo a mantenere quell'equilibrio di giudizio che porta a discernere comunque ciò che merita di essere ascoltato, per non gettare insieme all'acqua sporca pure il bambino, cioè le istanze giuste, le richieste intelligenti, i suggerimenti che odorano di bucato.
Parlo in generale, giuro, perché il destino mi ha offerto in dote la fortuna di lavorare in gruppi dove il lato oscuro della forza non ha mai preso il sopravvento, compreso qui, a Bergamo, anche se è una battaglia continua o, meglio, un dover prendersi cura del giardino ogni giorno, con la meticolosità, l'energia e la passione dell'agricoltore per il proprio campo.

P.S. Riconosco di non avere una vocazione o un talento per il comando. Se guardo a me stesso con lucida freddezza ammetto di essere scarso in alcuni talenti indispensabili allo scopo (il carisma, ad esempio, quella "autorevolezza" spontanea che si ha o non si ha, perché non è un'abilità, semmai un attitudine istintiva, un dono) così come è assente in me il piacere di dare ordini, il gusto di esser posto sopra un altro. Anche per tradizione, coprire ruoli apicali in famiglia non era contemplato. Mio padre per primo preferiva il "conto proprio", l'assenza di gerarchie, avendo al più come modello la tavola rotonda di re Artù, quell'essere "primo tra pari" che piace pure a me d'acchito, senza però considerare che per passare tra il dire e il fare c'è il mare di mezzo. Con il tempo ho trovato una mia strada, comprendendo che il potere non è cattivo in sé (dipende dal modo in cui si esercita e dall'avere o meno un obiettivo buono) e che si può interpretare il ruolo senza rinnegare i valori positivi, che della propria persona sono il fondamento.

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