Nell'anello di sentiero tra alberi e prati una dozzina di ragazzi e soprattutto ragazze corrono a perdifiato, con un professore che tiene il tempo e incita.
C'è chi sbuffa, chi arranca, chi impreca, chi non lascia trasparire una piega del volto.
Nessuno però cede, nessuno si tira indietro.
E' una vera ora di educazione fisica, come forse io in cinque anni di liceo non ho mai fatto, pur se stavamo in movimento, giocando a basket o a calcio.
Non oso dire nulla, prima di imboccare il cancello chiedo a una studentessa qual è l'istituto che frequentano. "Il Mamoli" mi sussurra, con l'esigue fiato che le resta in gola senza però mancare l'accenno di un sorriso.
Bene. Oggi ho visto un pezzetto dell'Italia che funziona, di un paese che ha futuro e pure speranza, scritto minuscolo, per non confonderlo con chi il fiato lo utilizza invano.
P.S. Erano più ragazze ho scritto. In effetti di ragazzo ne ho notato solo uno. Lievemente sovrappeso, correva a passo di trotto e sbuffava quanto un mantice, tanto che per qualche istante ho temuto stramazzasse al suolo o buscasse un infarto, accasciandosi esanime al suolo. Invece no. Con fatica, ma anch'egli ha raggiunto l'obiettivo dei giri fissato, ha tenuto duro. L'immagine di quel ragazzo, che a prima vista pareva mio figlio Giovanni l'anno scorso, mi ha "accompagnato" tutto il giorno. Facile emergere quando si è dotati di talento, assai più arduo - e parimenti meritevole - stringere i denti e non lasciarsi prendere dallo sconforto quando occorre sacrificio. Me lo ricorderò ogni volta che a voler arrendermi, per qualsiasi ragione, sarò io.
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