Lo è pure quest'anno.
Con una differenza: nove mesi fa ci siamo cascati mani e piedi, almeno a Bergamo, picchiandoci il muso; stavolta fatichiamo a distinguere se sia un "al lupo, al lupo" oppure il lupo è già tra noi, davvero.
Anche da quassù, dalla tolda di quella che dovrebbe essere una corazzata dell'informazione, fatico a discernere il vero dal falso, l'esagerato dal giusto.
Buon senso e verità d'altra parte hanno quasi sempre voce flebile, mentre il clangore della cronaca sparata a volume massimo elimina le differenze di tono, i rumori di fondo, tutti quei dettagli che formano un'opinione ragionevole e non una sensazione da sposare o rinnegare del tutto.
A futura memoria, di questi giorni disorientanti, annoto:
- il dispiacere per mio figlio Giovanni, il suo diciottesimo da compiere tra poco e gli ultimi due anni di liceo - irripetibili - gettati nel fosso;
- l’impressione che per molti, per troppi, il contagio da virus equivalga ad una colpa, al non aver rispettato ogni precauzione, invece che un accidente, una sfortuna, qual è ogni malattia da che mondo è mondo;
- la certezza che il sistema sanitario italiano funzioni decentemente in condizioni normali, ma appena il livello di stress aumenta si trova ovunque confusione e torniamo in balia del caso;
- la sensazione che per quanto serio possa essere, il virus farà meno vittime dello scorso inverno, poiché qualche nozione in più l'abbiamo;
- il timore che tutto precipiti all'improvviso, con il lutto e il dolore che molti hanno già provato;
- il disagio per tutte le chiacchiere e le sentenze dei Soloni che ne sanno sempre una pagina più del libro, scordando che prima di dare consigli sulle competenze altrui dovrebbero dare buon esempio loro;
- la lentezza di alcuni - specialmente nel settore pubblico, ma non solo - nello sbrigare pratiche o svolgere un banale compito, in contrasto con la prodigiosa rapidità degli stessi a dire "Ciao ciao" all'ufficio e piazzarsi in smart-working sul divano, senza alcun controllo, al primo soffio di vento;
- la responsabilità e l'efficienza dei miei colleghi in tv quando lavorano da casa e fanno più e meglio di quando hanno me dietro il collo;
- la perfidia, mista a vigliacco godimento (lo scrivo ironicamente), con cui ieri l'altro ho appreso del coprifuoco serale, immaginando così di poter tornare a vedere tutti insieme un film in famiglia, come dopo il "liberi tutti" di aprile non abbiamo più fatto;
- la paura che il patto tra cittadini e autorità, tra individui e Stato, a forza di tirare la corda venga meno, specialmente per le generazioni più giovani, quelle meno ammalate dal virus e che più pagano dazio in conseguenza dei provvedimenti per contenerlo.
- La percezione che decidiamo poco o nulla e sia piuttosto il destino, il caso, a determinare se supereremo tutto entro breve oppure andrà gambe all’aria pure quest’autunno / inverno.
- Per oggi mi fermo qua. Se mi viene in mente altro aggiungerò un post scriptum, poco sotto.
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